Bentornata a Napoli, Perla. È la seconda volta che collabori con l’Accademia Iris, lo scorso ottobre hai tenuto il corso di “Ladies Dabke” in occasione del Festival Zaghareet . Qual è stata la tua impressione e com’è stato il riscontro delle stagiste?
L’Accademia Iris mi ha dato l’impressione di essere un luogo professionale, tenuto insieme dall’armonia e caratterizzato da un tratto molto personale. Sicuramente coloro che si avvicinano all’Accademia hanno una marcia in più per quanto riguarda la socialità. Valeria è una persona molto cordiale, rispettosa, ha tutti quei requisiti che fanno sì che si possa lavorare bene con lei.
Le persone che hanno partecipato allo stage avevano già un’idea del tipo di insegnante e del corso che avrebbero seguito; questo mi ha fatto capire che l’informazione circola e che le scelte professionali che Valeria fa sono incentrate ad arricchire la formazione delle allieve non solo a livello pratico ma anche a livello emozionale, unendo così la professionalità al piacere dell’insegnamento e dell’apprendimento di cose nuove.
Parlaci della tua visione di “Ladies Dabke”,
In quanto terza generazione di libanese ho sentito in un certo senso il dovere di portare avanti la musica e la danza, essendo il Dabke la danza nazionale e folkloristica del Libano, essa è molto utilizzata come mezzo per integrarsi nella società. Ho fatto quindi una ricerca sulle mie radici: essendo una bellydancer “ribelle”, quando ho iniziato a far Dabke, mi piaceva molto l’energia maschile, energia che per molto anni ho tentato di acquisire. Essendo però “ solo una femmina” sono riuscita nel Ladies Dabke a integrare una sorta di potenza tutta femminile. In questo consiste questa danza, far cose che fanno i maschi ma mettendoci dentro quel che sei. La ballerina quindi potenzierà le gambe, acquisendo un “grounding” un contatto con la terra completamente diverso; inoltre imparerà a disarticolare le spalle, a stare in gruppo e poi a guadagnarsi l’assolo.
Da che cosa trai ispirazione per le coreografie di Dabke?
Dai Cavalli (ride, ndr). Quella dei cavalli è una natura indomabile, che può essere addomesticata ma fino ad un certo punto. Il cavallo è un animale intelligente, impara a stare nel mondo. Quindi tutto sta nel riuscire a trovare un’intesa tra quella parte di te che è molto istintiva. Il Dabke è una vera e propria esplosione di energia, di gioia; inoltre, nelle coreografie, c’è questa parte che segue una linea molto diritta apollinea . Le coreografie devono essere perfette, in modo tale da non farsi male, si lavora in completa e totale sintonia. Il gruppo diventa un unico organismo, si lavora come se il tuo corpo appartenesse anche al corpo accanto e così via; così, ad esempio, se tu salti insieme salta tutto un corpo, se invece salta una sola persona, ci si fa male.
Consiglieresti questo tipo di danza anche a ballerine non di danza orientale?
Assolutamente sì. Innanzitutto, siamo tutti novellini in qualsiasi altra danza, le bellydancer ad esempio sul palco del Dabke si troveranno ad avere a che fare con un tipo di energia completamente diversa, con un modo diverso di vedere la femminilità. Si cerca la migliore situazione estetica per quanto riguarda un gruppo, non l’individuo. Non è detto che l’insegnante sia al centro della coreografia in quanto tale, conduce la ballerina più brava, quella che più merita. Nel teatro, nella danza, quando si vuole che una coreografia sia eseguita bene, si può avere un senso democratico ma ci deve essere comunque qualcuno che tenga le redini in mano, una guida.
Hai alle tue spalle un lungo e ricco percorso di studi. Cos’è per te la danza? Quale consiglio sentiresti di dare alle allieve?
Sono un po’ atipica, ho un tipo di approccio con la danza che è tutto “musicale”, molto medio-orientale: parto cioè dalla musica, ed è questa che mi fa fare le cose. Spesso invece, nelle discipline sviluppate, nella danza, certi approcci sono un po’ diversi. In Occidente, ad esempio, c’è la scoperta del movimento per il movimento stesso. Il consiglio che io do alle danzatrici per collegarsi alla natura della danza orientale è di smettere di contare e cantare di più. Quando si fa una coreografia, arriva il momento in cui si devono fare queste quadrature che sono molto arabe. Quando tu balli, se impari la coreografia anche cantandola tu vai a toccare una parte del cervello che non è la stessa che utilizzi quando conti. Ovviamente la memoria è un fattore completamente diverso, in questo modo essa si “attacca” al suono e non si attacca a un’entità astratta (anche se la musica lo è, in un certo senso) ma è un’entità più viva e più mobile. Il numero può far scomparire una serie di sentimenti, emozioni.
“Non contare, canta. Anche se canti male.”
Rossana Galdi
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